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DICEMBRE 2008 - UNA SETTIMANA A CHIETIright

a Chieti  2008

Amarcod Chieti - VISITA DI VITTORIO EMANUELE II

Quel dicembre a Chieti... mentre non poche delle province superiori lamentano l'assenza del sole per lunghissimi giorni, festeggiandolo talvolta, quando degnavasi far capolino dall'alto, noi abbiamo goduto e godiamo una piena serenità di cielo, una stagione eccezionale; diremmo una primavera se il messer Eolo non avesse avuto di tanto in tanto il malvezzo di scatenare qualche suo alato venticello un pò importuno, quasi invidioso della nostra straordinaria condizione. Tuttavia a dispetto di messer Eolo le feste di Natale e Capodanno sono state ilari i tranquille, il pubblico passeggio frequentatissimo e rallegrato dai concerti della lodata Banda della nostra guarnigione. A Piazza Grande la diffusa moltitudine, proprio in quell'anno, pareva un mare in tempesta, sul culmine dell'alta gradinata del Duomo, nei pressi di un baldacchino cui faceva corona pure l'Arcivescovo, i canonici e gli Eddomadarii della Chiesa Metropolitana. Il Re, Vittorio Emanuele II, smontato da cavallo, ascese alla gradinata, collocandosi sotto il baldacchino, ove, ginocchioni, baciò il Cristo, che gli veniva presentato da Monsignore. A quella scena sublime il pubblico entusiasmo non ebbe limiti, un

Chieti 1859, il Re Vittorio Emanuele III si affaccia

dal Palazzo del Comune

grido solo,uscito dal cuore di tutti, rimbombò per le vie della città, e in quel momento pareva che sulle teste di tante migliaia di persone splendesse la più limpida serenità di cielo congiunta alla più nobile armonia delle intelligenze e sotto i piedi, palpitasse di giubilo, finanche la cenere di venti generazioni d'italiani. Nel Palazzo del Governo, addobbato con magnificenza regale, Egli, accolse le deputazioni dei diversi municipi di questa e di altre Province; accolse la Magistratura, il Clero con l'Arcivescovo in testa, gli ufficiali della Guardia Nazionale e tutte le Autorità amministrative e giudiziarie. Parlò parole di concordia e di amore, espose senza misteri la politica del giorno; si lodò di soldati delle diverse regioni d'Italia, e si augurò che i napoletani avrebbero dato prova di egual valore. Infatti, soggiunse, a Goito sotto i miei occhi si batterono da eroi. Disse al Clero che egli portava fiducia di non averlo avverso, ma se voi mi siete amici, io coll'aiuto di Dio vi vincerò. Voi pregate Dio per noi e noi ci batteremo.

 

 

 

 

Cliccando sulle immagini si ottengono le stesse ingrandite

 

A queste parole il Clero si commosse e proruppe in applausi prolungati, quindi un Canonico, in nome di tutti, presentò un indirizzo che il Re accolse con trasporto. Fu questa la più solenne, la più spontanea dimostrazione che il Clero abruzzese facesse, non contro i dogmi della Chiesa Cattolica, ma contro il ferreo dispotismo della Corte di Roma. Mentre il Re era seduto a cena, due inni vennero cantati a piena orchestra, nel cortile del Palazzo del Governo. Intanto, le suntuose luminarie, innumerevoli e colorate, i fuochi pirotecnici, ne vicoli di Sant'Andrea e centinaia di giovani che percorrevano le strade con torce accese, aumentavano il brio e la gaiezza di questa città, la quale è stata la prima in Italia Meridionale ad essere onorata della presenza di quel Grande, che oggi rappresenta l'idea meravigliosa che fu il sogno di tanti secoli e il martirio di tanti uomini. (l'Omnibus di Napoli, 27 ottobre 1860). Questo è il racconto di quella festa, che non si legge, dopo circa mezzo secolo, senza commozione. Pompeo Salvatore uno dei più fervidi liberali d'Abruzzo e fra i cittadini di maggiore cultura, scrisse un ispirato sonetto all'Italia e la cui 1° quartina era questa:

 

Non più sei serva, o vincitrice, o vinta

Non più tema di nenie e di lamenti

Non più terra di morti, e in ceppi avvinta

Preda e lubidrio di estranee genti...

 

Vittorio Emanuele II restò veramente compiaciuto dalle accoglienze di questa città primo capoluogo di provincia, che incontrava sul suo cammino. Tutti gli ordini della cittadinanza, salvo pochi borbonici impenitenti, che si erano per la paura tappati in casa, sbarrando portoni  e finestre, gli fecero onore. L'Arcivescovo lo ricevette prima in Duomo con il Capitolo ed intonò il Te Deum. Prima di lasciare Chieti, il re fece molte elargizioni e la più cospicuo fu quella per la fondazione di un asilo infantile, che porterà il suo nome. Avrebbe voluto rimanere a Chieti un altro giorno, ma da ragioni militari, fu costretto a partire l'indomani, 19, per Sulmona, risalendo il Pescata, per le Gole di Popoli. Il re era circondato dalle autorità e serrato da una folla di popolo e di guardie nazionali. La letizia era velata da un senso di malinconia; egli partiva dopo una sì breve fermata! Fece a piedi la via, che mena la sottostante pianura del Pescara, al punto dove sorge la pietra miliare denominata "Colonnetta", presso la stazione. E in quel punto, montò a cavallo e dopo aver ringraziato

 ripetutamente le autorità ed i gentiluomini che lo accompagnavano e salutato il popolo, al trotto, agitando il berretto, partì per Sulmona. A Chieti si erano fatte le cose sontuosamente. Ad addobbare il palazzo dell'Intendenza, concorsero le famiglie più ricche. Il barone Frigery, zio del ricevitore Mayo, mandò quadri dell'Hayer, dell'Induno e del Bertini, di sua proprietà, nonché la splendida argenteria, e a tutto il resto fu provveduto da Casa De Laurentiis. Durante il gran pranzo, al quale parteciparono diversi gentiluomini e le autorità compreso l'Arcivescovo, divenuto Liberale per l'occasione, ma che poi tornò borbonico. Una numerosa orchestra accompagnò un inno al re, scritto dal Pellicciotti, musicato dal maestro Enrico Sunnoner e cantato dai filarmonici della città (R. De Cesare "Fine di un Regno vol II- Editrice Lopi, Città di Castello del 1909 ).

 

 

 

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